Dopo il divieto posto anche in Germania nell’aprile 2009, si sono ridotti a soli sei, su ventisette, i Paesi Europei dove si coltivano organismi geneticamente modificati (ogm) con un drastico crollo del 12 per cento delle semine che ha interessato tutti i paesi interessati (Spagna, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia), tranne la Polonia che ha mantenuto la stessa superficie coltivata, mentre solo per il Portogallo è aumentata. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti dopo la fine della moratoria Ue con il via libera alla prima patata transgenica e l’annuncio della Commissione Europea di presentare entro l’estate una proposta per far decidere liberamente ai singoli Stati membri se coltivare o meno ogm sul proprio territorio, invertendo l’attuale quadro normativo.
Dall’analisi del rapporto annuale 2009 dell’ “International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications” (ISAAA) emerge che la coltivazione ogm in Europa interessa solo sei Paesi e riguarda solo il mais bt geneticamente modificato, la cui la superficie coltivata nel 2009 si è drasticamente ridotta da 107719 ettari a 94750 ettari, pari a molto meno dello 0,001 per cento della superficie totale di 160 milioni di ettari coltivati in Europa. Questo nonostante siano ormai 35 gli organismi geneticamente modificati autorizzati in Europa (19 di mais, 6 di cotone, 3 di colza, 3 di soia, 1 di barbabietola, 1 di patata, 1 microrganismo), dopo il grave via libera comunitario alla commercializzazione di altre tre varietà di mais geneticamente modificato, oltre alla coltivazione e commercializzazione della patata Amflora. Per quest’ultima, fortemente contrastata a livello internazionale, va registrato per ultimo lo stop dell’ottobre 2009 del Sud Africa che ne ha bloccato l’introduzione in commercio, sostenendo che la tecnologia non mostra vantaggi significativi per i produttori e incontra forti resistenze nei consumatori.
Il drastico crollo del 12 per cento nei terreni seminati con organismi geneticamente modificati in Europa nel 2009 conferma che nel coltivare prodotti transgenici, oltre ai possibili rischi per la salute e per l’ambiente, non c’è neanche convenienza economica, pure nei Paesi dove è ammesso. Il fatto che, anche dove è possibile la coltivazione, gli agricoltori riducano le semine è la concreta dimostrazione che per gli ogm attualmente in commercio non c’è quella miracolosa convenienza economica che le multinazionali e i loro “tifosi” propagandano. Tutt’altro, a dodici anni dalla loro introduzione in Europa le coltivazioni biotech sono già in calo perché, di fatto, non sono riuscite a trovare un mercato, vista la persistente contrarietà dei consumatori ad acquistare prodotti geneticamente modificati. Una contrarietà giustificata dai crescenti dubbi sul piano sanitario e ambientale che nel corso del 2009 hanno portato il governo tedesco a vietare il mais Mon 810 (che alcuni vorrebbero seminare in Italia) a seguito di nuove acquisizioni circa gli effetti negativi sull’apparato intestinale, sugli organismi del terreno e sulla dispersione del polline, con contaminazioni derivanti dalla impollinazione incrociata tra coltivazioni transgeniche e non.
Con la pericolosa fine della moratoria, in pieno contrasto con la volontà dei cittadini, la Commissione Europea ha anche annunciato la storica intenzione di presentare entro l’estate una proposta per far decidere liberamente ai singoli Stati membri se coltivare o meno ogm sul proprio territorio, invertendo l’attuale quadro normativo. L’Italia e le regioni italiane potranno dire no al biotech nei campi mentre fino ad oggi l’Unione Europea ha sempre contrastato la decisione di Paesi e regioni di vietare la coltivazione sui propri territori chiedendo al contrario la definizione di un quadro per la coesistenza tra colture ogm e tradizionali, da cui è scaturita in Italia la decisione del Consiglio di Stato del 19 gennaio scorso con la quale si è richiesto al Ministero delle Politiche Agricole di concludere il procedimento di istruzione e autorizzazione alla coltivazione di mais geneticamente modificato.
Una opportunità per valorizzare la scelta lungimirante fatta dall’Italia per un agricoltura libera da ogm grazie all’impegno di un vasto schieramento che comprende Coldiretti, movimenti ambientalisti, consumatori e istituzioni, tra le quali già sedici regioni, in rappresentanza della maggioranza dei cittadini e agricoltori italiani che sono contrari al biotech nei campi e nel piatto. Sulla base dei risultati dell'ultima indagine annuale Coldiretti-Swg "Le opinioni di italiani e europei sull'alimentazione”, il 72 per cento dei cittadini italiani che esprimono una opinione ritiene che i prodotti alimentari contenenti organismi geneticamente Modificati siano meno salutari rispetto a quelli tradizionali.
Il modello produttivo cui è orientato l’impiego ogm è il grande nemico della tipicità e della biodiversità e il grande alleato dell’omologazione, che è il vero nemico dell’agroalimentare italiano e per questo siamo contrari. In Italia, per la conformazione morfologica dei nostri terreni e le dimensioni delle nostre aziende, non sarebbe possibile evitare le contaminazioni e sarebbe violata - conclude il presidente della Coldiretti Sergio Marini - la sacrosanta libertà della stragrande maggioranza degli agricoltori e cittadini di avere i propri territori liberi da ogm. Chiediamo, invece, con decisione una etichettatura chiara che permetta di sapere se il cibo che mangiamo contiene, direttamente o indirettamente, organismi geneticamente modificati.
3 Marzo 2010
OGM