Nonostante la campagna di commercializzazione della frutta estiva 2011 sia stata un disastro, l’ortofrutta a livello nazionale è ancora un settore importante che rappresenta la prima voce dell’export agricolo, superando quello del vino.
E’ quanto è emerso dall’analisi svolta da Coldiretti in occasione dell’incontro su “Una filiera agricola per l’ortofrutta italiana”, presentata in occasione del Macfrut di Cesena, che evidenzia la storica conquista del primato sulla base dei dati Istat relativi ai primi sei mesi del 2011. Il valore delle esportazioni di frutta e verdura è risultato pari a 2,028 miliardi di euro superiore di qualche migliaio di euro a quello del vino che, seppur in crescita, si ferma a 2,025 miliardi di euro, nel semestre. Il risultato è stato ottenuto nonostante il fatto che il principale mercato di sbocco, con quasi un terzo del fatturato, sia la Germania dove nel giugno 2011 si è verificata la nota quanto ingiustificata psicosi nei consumi. Sono arrivati così sulle tavole degli stranieri ben il 75 per cento della produzione nazionale di kiwi, il 50 per cento delle mele e del 40 per cento dell’uva Made in Italy.
Quello che è certo però - secondo Coldiretti - che i riscontri positivi sul mercato non si sono trasferiti ai produttori ortofrutticoli italiani per i quali il 2011 è stato uno degli anni peggiori dell’ultimo decennio. Per i produttori italiani di pesche, nell’estate si è verificato un crack da 300 milioni di euro, per effetto del crollo dei prezzi pagati ai produttori che sono scesi sotto i 30 centesimi al chilo, un valore inferiore a quello di dieci anni fa, mentre le importazioni in Italia di pesche dalla Spagna nel giugno 2011 ad esempio sono praticamente raddoppiate (+78 per cento).
E’ inoltre emerso con chiarezza dalla presentazione dello studio svolto dall’economista Gianluca Bagnara che le motivazioni che stanno all’origine delle modeste performance dell’ortofrutta italiana sono di natura strutturale. Bagnara è partito da una analisi delle posizioni attuali di mercato dei principali paesi produttori di pesche e nettarine sul mercato comunitario: l’Italia ha il 39 per cento della produzione, la Spagna il 26 per cento, la Grecia il 20 per cento, la Francia l’8 per cento. Per continuare dicendo che Italia e Spagna hanno pressoché gli stessi costi di produzione all’impresa agricola (appena 5 centesimi al chilo di differenza), mentre il costo della lavorazione dopo la raccolta è per l’Italia pari a 40 centesimi al chilo, quasi il doppio dei 25 centesimi al chilo dei nostri concorrenti spagnoli.
Stessi costi in azienda, il doppio fuori rispetto alla Spagna
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Le ragioni di questa forte differenza nei costi esterni all’impresa agricola vanno ricercate nella maggiore rigidità degli investimenti con una sottoutilizzazione delle immobilizzazioni dovuta anche a una mancanza di pianificazione e qualificazione dell’offerta. Per semplificare, dall’analisi emergono scarsa programmazione, troppe strutture, troppi frigoriferi mezzi vuoti, basso valore aggiunto, strutture di vendita frazionate se non in concorrenza al ribasso tra di loro.
La cattiva utilizzazione dei fondi pubblici destinati al settore dall’Unione Europea attraverso i piani operativi è stata denunciata dal Dr Antonio Schiavelli dell’Unaproa secondo la quale, appena il 5 per cento delle risorse arriva alle imprese agricole.
“Bisogna ristrutturare il sistema di filiera perché il sistema non può più sopportare un costo per la concentrazione e distribuzione dell’ ortofrutta che è quasi il doppio della Spagna”, ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che “bisogna rafforzare il potere contrattuale nei confronti della distribuzione commerciale perché non c’è dubbio che su questo punto il sistema dell’offerta organizzata, anche quella dei grandi numeri, ha completamente fallito l’obiettivo per cui è nata”.
A causa degli alti costi esterni e delle inefficienze del sistema nonché delle eccessive intermediazioni nel passaggio della frutta dall’azienda agricola al carrello della spesa, i prezzi almeno triplicano (+200 per cento) ma possono anche quadruplicare (+294 per cento) per la filiera lunga (presenza di 3 o 4 intermediari tra produttore e distributore finale), secondo l’ultima indagine dell’Antitrust sul settore ortofrutticolo. Si sta allargando senza giustificazioni la forbice dei prezzi della frutta e verdura fresca tra produzione e consumo. Una situazione che danneggia i consumatori che potrebbero acquistare maggiori quantità e a condizioni piu’ vantaggiose, ma anche gli agricoltori costretti a lavorare in perdita.
I consumi sono passati dai 450 Kg del 2010 ai 350 Kg del 2010
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Il risultato è che oggi gli acquisti di frutta e verdura delle famiglie italiane sono passati da 450 chili a famiglia all’anno del 2000 ai 350 chili del 2010, con una riduzione di ben 100 chili annui (–22 per cento), nonostante la spesa per acquistarla sia addirittura aumentata. In tutto il 2010 le famiglie italiane hanno acquistato 8,3 milioni di tonnellate di ortofrutta fresca per una spesa complessiva di 13 miliardi, di cui circa 4,5 milioni di tonnellate per gli acquisti di frutta e 3,8 milioni di tonnellate per quelli degli ortaggi.
Spariti un terzo dei frutteti italiani negli ultimi 10 anni
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Ma gli effetti si sono fatti sentire anche sul lato della produzione a causa del taglio dei redditi dei produttori. Tanto per renderci conto di che cosa stiamo facendo: in Italia, negli ultimi dieci anni, è scomparso circa un terzo del frutteto italiano, con effetti sull’economia, l’occupazione e il paesaggio della campagna italiana. Una tendenza che mette a rischio un settore che ha conquistato la leadership in Europa sul piano qualitativo e quantitativo in cui operano 300mila imprese ortofrutticole nazionali specializzate per una produzione attorno ai 25 milioni di tonnellate, per fresco e trasformato, che genera un fatturato di oltre 11 miliardi di euro e garantisce occupazione per 50 milioni di giornate di lavoro
In buona sostanza, il messaggio forte e chiaro lanciato da Coldiretti a Cesena al “sistema organizzato” è stato quello che l’ortofrutta italiana se vorrà tornare ad essere leader in Europa dovrà essere capace di “riorganizzarsi” velocemente, tornare a dare “valore” alle produzioni, essere “competitiva” sui mercati e quel che più conta, ritornare a dare un “giusto reddito” ai frutticoltori. Rivolgendosi invece ai frutticoltori l’invito è stato quello di impegnarsi direttamente, in modo costruttivo, affinchè ogni momento organizzato del settore si faccia carico di quei cambiamenti che servono per affrontare il futuro.